Il consiglio diocesano incontra il Cardinale

Consiglio AC 1

Siamo qui con Lei per raccontarle l’associazione oggi e in attesa dei suoi consigli. Così è iniziata l’introduzione del Presidente diocesano all’incontro che il consiglio ha avuto lunedì 9 marzo con il Cardinale Arcivescovo. Un incontro in un clima di grande familiarità e in reciproco ascolto, per ricevere dal nostro Vescovo indicazioni ed una parola precisa e diretta rivolta all’associazione.

Il Presidente ha illustrato al Cardinale lo stato dell’associazione diocesana, luci ed ombre, e ha nuovamente ringraziato per il dono degli assistenti, segno concreto dell’affetto e dell’attenzione del Vescovo e della sua volontà di far crescere l’AC.

I responsabili hanno quindi descritto al Cardinale le attività proprie dei settori e hanno posto alcune riflessioni e domande riguardanti la vita dei settori stessi. Come ad esempio: buono l’esito del bivacco di spiritualità dei giovani ma resta il dubbio di non prendere il largo notando che siamo sempre un po’ gli stessi; occorre valutare l’opportunità di percorsi di identità associativa per gli adulti; rimane la difficoltà a coinvolgere la fascia di età 30-40 anni (quali criteri ed iniziative per fascinare questa fascia di età?); si avverte la difficoltà all’impegno nel tempo per gli educatori ACR con i conseguenti problemi di ricambio generazionale; cosa fare a fronte dei problemi che a volte sorgono in parrocchia nel dialogo e nel rapporto con gli assistenti.

Il Cardinale ha quindi preso la parola e ricordato come il materialismo e il consumismo siano diventati l’immagine del vuoto attuale della società occidentale. Si è costruito un vuoto di valori sostituendoli con cose materiali. Soprattutto i giovani continuano ad avvertire il fascino della spiritualità e, in assenza di valori, si rischia in alcuni casi che un ideale forte, non importa quale esso sia, faccia presa su di loro. In tal senso il problema non è il fanatismo che oggi tanto preoccupa ma la sua radice, quel vuoto di valori che permea la nostra società. I legami sono sempre più fragili ed oggi in Europa viene teorizzato non il valore dei legami tra le persone ma quello della loro assenza.

Gli incontri di spiritualità e la loro presa sui giovani sono quindi segno di un’umanità ancora viva. Le facce sono sempre le stesse? Una certa ripetizione sia numerica che visiva va vista come un valore, perché indice di appartenenza continuità.Consiglio AC 1

Ma se questo ci conforta nel giudizio non deve però diventare inerzia. Nella pastorale ordinaria e nell’azione dei laici dobbiamo coltivare la formazione, affinché la missionarietà sia presente in tutte le fasi della vita e del quotidiano. La missionarietà non deve essere solo programmatica ma paradigmatica, permeare il nostro quotidiano, il che vuol dire vivere e fare le cose ordinarie con animo missionario.

Il Papa, mentre ci spinge alla missionarietà, ci tranquillizza. Quello che ci spinge è l’infinito amore del Padre, “Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti” (E. G. 164), e allo stesso tempo “Il tuo cuore sa che la vita non è la stessa senza di Lui, dunque quello che hai scoperto, quello che ti aiuta a vivere e che ti dà speranza, quello è ciò che devi comunicare agli altri.” (E. G. 121).

È nel quotidiano che rischiamo di sbagliare, se manca il fuoco di Gesù annunciamo noi stessi, non Lui. Se il nostro cuore non arde nell’incontro con Lui non siamo credibili e realmente missionari.

Soprattutto nella società odierna gli adulti sono presi da mille impegni e quindi risulta difficile garantire una presenza frequente e costante nei gruppi. Si tratta di un problema comune a tutti i gruppi, non solo all’AC. Dobbiamo ricordare che siamo persone umane e abbiamo bisogno di obbiettivi tangibili e concreti. La formazione è sicuramente un valore in sé, è diffusiva. Ma anche la formazione deve avere obbiettivi immediati, che vanno oltre noi, a cui finalizzare il nostro impegno. San Tommaso, citando San Bernardo dice che è meglio risplendere che brillare: dobbiamo vedere degli obbiettivi e lavorare per realizzarli, altrimenti l’incontrarci tra noi perde fascino ed entra in concorrenza con il lavoro, con i nostri impegni e con la stanchezza del quotidiano. Se il gruppo si pone degli obbiettivi da raggiungere in tempi accettabili, il cammino riprende lena.

Gli obbiettivi devono far emergere la vita concreta. Ad esempio cosa fanno e come si formano gli adulti sulla teoria del gender, che non è argomento astratto ma che coinvolge i percorsi educativi dei loro figli? Proprio perché in mezzo ci sono i figli, i nipoti, si tratta di un obbiettivo concreto da conoscere, su cui formare una propria coscienza critica, esigenza di cui molti movimenti si stanno facendo interpreti, come per esempio le sentinelle in piedi.

Consiglio AC 2Pascal diceva che dobbiamo far disperare la gente, cioè non lasciarla quieta ma aprire la mente e il cuore verso il Salvatore.

Le difficoltà con gli assistenti non devono stupire, siamo uomini con i nostri pregi e i nostri limiti. Dovete amare i vostri preti così come sono ed educare gli altri a farlo. Il fine ultimo è la gloria di Dio, gli uomini lo portano nella vita e lo onorano nella liturgia. L’AC in tutte le sue fasce di età deve amare la Chiesa e la gerarchia, termine oggi un po’ desueto ma che ritroviamo nel primo articolo dello Statuto, il quale definisce caratteristiche che sono solo dell’AC. L’AC è vicina ai sacerdoti per condividere con loro la missione pastorale e aiutarli.

Occorre far sentire ai sacerdoti che sono amati, non basta amarli. Bisogna far sentire che vogliamo il loro bene e che li vogliamo aiutare, con verità e convinzione.

La fisionomia essenziale dell’AC non è forse chiara a tutti. E allora amare vuol dire farla sentire, far comprendere che tu sacerdote sei dentro insieme a noi, che insieme condividiamo, non che decidiamo e poi informiamo. Il ministero sacerdotale non è una delega della comunità, il suo fondamento è il sacramento.

Il Beato Paolo VI l’8 dicembre 1968 ricordava all’AC le parole in cui si era per cent’anni sintetizzato lo spirito e il programma dell’AC: preghiera, azione, studio e sacrificio. E proprio quest’ultimo emerge anche nelle inevitabili difficoltà delle relazioni e nella nostra capacità di viverle e superarle.

Oggi la gente conosce i sacrifici, ne fa purtroppo molti ogni giorno ma non li sceglie, li subisce. Nel tempo si è perso il senso della gratuità, della capacità di una scelta personale nel vivere ed offrire il sacrificio, della libertà di scegliere le cose che costano e che durano. In questo senso una forma di sacrificio è la fedeltà, la costanza, il quotidiano liberamente accettato e vissuto.

Non sono più io che vivo ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). È più importante il fuoco o la brace? La brace è legno che diventato fuoco, e quindi lo conserva, lo alimenta. Così non sono io che agisco come Cristo ma è Lui che agisce in me, mi ha trasformato e mi sono lasciato trasformare da Lui. Temo,ha proseguito il Cardinale, che la catechesi rischi di diventare troppo orizzontale e rischi di svuotare la Croce riducendo il Vangelo ad un messaggio filantropico. Nel presentare il secondo di tutti i comandamenti: “Amerai il prossimo tuo come te stesso” spesso dimentichiamo che l’amore al prossimo è conseguenza del primo “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti”. Il primo è l’amore incondizionato di Dio per noi. L’amore fraterno deve essere carità, non filantropia, non posso non amare gli altri, perché Dio mi ama. Diamo allora il fondamento: “il secondo è simile al primo”, il mio amore per Gesù è risposta all’amore Suo per me. Non a caso dopo l’Annunciazione  Luca narra la Visitazione. Maria incontra Dio e subito dopo va dalla cugina Elisabetta. La spinta ad andare è verifica che non ho incontrato me stesso bensì il Signore.

In conclusione il Cardinale ha invitato a badare all’essenziale e, nel limite del possibile, a cercare di semplificare, a chiedersi se le riunioni che facciamo sono tutte indispensabili, se le ore che impieghiamo sono tutte necessarie. Ha anche ricordato che al di là di aiuti e sussidi il programma di tutti è il programma pastorale della Diocesi.

È quindi seguito il saluto e il ringraziamento degli assistenti e la recita di  Compieta.

Tutti i presenti hanno infine salutato personalmente il Cardinale Arcivescovo pastore e padre affettuoso per tutti noi.

G.M.S.